IL BLOG DEI SOGNI

SdS, 25 gennaio 2021

Benvenuti

di  Federica Cabras 

Venire arruolata da una squadra di "professionisti d'umanità" - come mi piace chiamare Domenico Renna, Denise Vacca e Barbara Corrias - è stato per me motivo d'orgoglio e di felicità. Tramite Società dei Sogni, l'associazione culturale che hanno creato nel 2019, i fantastici tre promuovono la cultura in ogni sua forma - con focus su filosofia e arte da adattare alla medicina -, certo, e che Dio non voglia che un'associazione culturale non lo faccia, ma non solo. E allora qual è la differenza con altre associazioni culturali?, vi domanderete voi. Be', una cosa spettacolare che mi piace rammentare sempre, quando penso a questa fenomenale unione di menti, è che di fatto la peculiarità di quella che è un'associazione che mira a far brillare i sogni, facendoli diventare realtà - che poi, 'sti sogni, a stare nei cassetti fanno solo la muffa -, è proprio il mettere l'individuo al centro di ogni discussione. Capite? Ogni persona è unica, è preziosa. Ha una storia da raccontare. Ha delle paure e delle fragilità - siamo umani, dopotutto - e dei momenti di sconforto. Ha bisogno di aiuto e, nel contempo, è capace di darne agli altri. Ha dei pensieri. Ha delle aspettative. E questa sua unicità viene sottolineata. Non saltata, né data per scontato. Ma curata, coccolata e tenuta tra le mani con dolcezza, come una sacra reliquia. Questo promuove, la Società dei Sogni. Usciamo da un anno difficile. Il 2020 è stato cupo e tosto e ha messo a dura prova anche i caratteri più forti. Un senso di impotenza, di isolamento, di smarrimento ha colto tutti; i lutti che hanno scosso la nostra nazione e tutto il mondo ci ha uniti e divisi allo stesso tempo e il Signore solo sa quanto bisogno abbiamo di essere considerati importanti. Di riscoprire il valore di un abbraccio. La dolcezza di un bacio. E le strette di mano? Chi non ha voglia di lasciare al gomito la sua funzione a livello articolatorio e di togliergli il ruolo di saluto? Chi non ha voglia di una bella stretta di gruppo? Ne usciremo più forti di prima e saremo ancor più capaci di amare - visto che l'abbiamo fatto a regime ridotto -, dicevano, ma abbiamo appunto bisogno di valori positivi e di sentirci sereni con noi stessi e con gli altri, per farlo. E abbiamo bisogno di pillole di serenità. E di pillole di filosofia e di arte, anche - che la creatività addolcisce sempre e insegna sempre e dona sempre. E di medicina. Ma non quella fredda, asettica; intendo una medicina che curi la persona e non solo la sua malattia. Quindi perché non creare una rivista/blog che si occupi di regalare alle persone tutto questo a portata di clic? Eccolo, il progetto per il quale sono stata chiamata. Mettere nero su bianco i nostri pensieri. Parlare di argomenti vari. Rivolgerci a tutti. Dare voce ai più deboli. Essere vicini alle persone seppur lontani, far sentire loro forte e spesso il filo che unisce il nostro con il loro cuore. Essere messaggeri di emozioni, regalare le sensazioni agli altri per metabolizzarle meglio e per regalare un pezzetto del nostro cuore a chi ci leggerà. E ci apriremo per donarci a chi vorrà darci fiducia, eccome se lo faremo. Donarsi è bellissimo e lo è sempre, senza se e senza ma. Donarsi è un pochino come dire: "Ehi, stai bene?" e "Ti sento vicino" e ancora "Ci sono per te"... Che poi altro non è che la dichiarazione d'affetto più limpida e sincera. Nel "Ci sono" sono racchiusi interesse, disponibilità, gentilezza e voglia. Voglia di pensare che l'unione faccia la forza - un detto bellissimo, che amo particolarmente - e voglia di credere in un futuro migliore fatto di mani che si stringono, di sorrisi senza mascherina, di baci umidi nelle guance e di amore. Soprattutto di amore. Quando ho parlato con Denise, Barbara e Domenico di tutto ciò, loro hanno dichiarato, sibillini, che ogni like sulla pagina dell'associazione era spontaneo. No a richieste, no a inviti. Tutti quelli che seguono il percorso di Società dei Sogni lo fanno perché amano immergersi nei valori che veicola e negli spunti di riflessione che, con umiltà, vengono dati. In ciò è racchiusa tutta la politica di queste tre splendide persone che, con diverse carriere e diversi percorsi di vita, si sono unite per creare qualcosa di meraviglioso. E io sono contenta di essere dentro questo ulteriore Sogno.

di Domenico Renna

Arte e Medicina

25 gennaio 2021 - di Barbara Corrias

La negatività ed il senso di oppressione che connota la condizione di malattia può trovare nell'arte un riscatto in termini di trasformazione. Arte e creatività svolgono un ruolo fondamentale nell'ambito dell'evoluzione interiore della Persona e sono i mezzi più indicati per portare l'individuo ad utilizzare in maniera costruttiva la propria energia creativa, soprattutto davanti a una sofferenza fisica e psichica. Scegliere il colore, plasmare i materiali, ammirare un'opera, proiettare se stessi in un particolare che ho davanti...sono tutti elementi di cura per chi affronta una fragilità e per i suoi curanti. La medicina è arte per la persona e l'arte è una preziosa medicina. Un persona è unica ed in continuo cambiamento dal punto di vista fisico, psichico, sociale e spirituale e la medicina con uno sguardo che comprende tutto questo si rivolge alla persona. Gli operatori sanitari guardano l'individuo e tutto ciò che gli ruota attorno, come un'opera che prende forma, senza dargli subito una dimensione e contorni definiti, ma sviluppando l'opera attraverso ciò che si acquisisce e soprattutto ciò che sente con le sue mani e ciò che circola in questa relazione magica. Chi affronta la malattia, si trova spesso cullato dal potere terapeutico dell'arte attraverso immagini, suoni, danze, materiali, questa coinvolge tutti i sensi e ne rafforza le competenze cognitive, socio-emozionali e multisensoriali. L'arte permette di riprendere contatto con tutto ciò che ancora non ha una forma e lasciar accadere, concedendosi di dare sfogo ai propri vissuti e di far emergere ciò che realmente siamo, ci concede di perdere il controllo e sentirci liberi anche nella sofferenza, dentro un corpo trasformato dalla malattia e in tutto ciò che razionalmente non ha una collocazione. La Persona nel creare dà forma alla sua esperienza interna e questa motivazione è la profonda finalità del creare, si sintonizza con se stesso, si ascolta e genera se stesso attraverso l'opera. Via brevis, ars longa... Ippocrate

Filosofia e Medicina

25 gennaio 2021 - di Domenico Renna

La filosofia è l'arte dei "perché", del mettere in discussione ogni aspetto della realtà oggettiva, che finisce sempre col non dare nulla per scontato. L'esperienza sensoriale dell'uomo ci insegna infatti che c'è assuefazione nella percezione di colore, calore, linee, masse, e persino sentimenti, che pertanto va rinnovata perché possa ridarci il senso e lo stupore di ciò che osserviamo e valutiamo, come se fosse sempre la prima volta. È la teoria della visione e riconoscimento, ben noto ai filosofi: la visione della realtà percepita la prima volta, diventa subito riconoscimento convenzionale e abitudinario, delle cose, delle situazioni, degli stati emotivi, rendendoci incapaci, quindi, di riprendere e rivivere sensi e significati delle nostre primarie esperienzie e conoscenze. In pratica, l'ammirazione di un nuovo meravigioso paesaggio appena scoperto, non ridarà più l'immediato stupore di prima visione, quando torneremo a guardarlo. A salvarci da questo meccanismo naturale, (automatismo percettivo, il dato per scontato), interviene proprio il poter rimettere in discussione tipico del pensare filosofico, attraverso quel processo, noto persino ai narratori, come "straniamento": osservare da altri angoli visuali lo stesso paesaggio, per riscoprirlo sotto nuove forme e rinnovate percezioni. L'utilità dell'approccio filosofico, che altro non è che il non assuefarsi all'oggettività, nella sua applicazione alla Medicina è pertanto chiara: la persona ammalata va riscoperta continuamente, se non si vuole che diventi un'abitudine ai nostri occhi, dandola come scontata condizione della persona, privata della sua stessa personalità e specificità: mettendola in discussione con l'infinita serie di domande e dei perché del metodo filosofico, "straniandosi", con rinnovato ascolto ed accoglimento del malato, per sottrarlo alla naturale tendenza umana ad archiviarlo come anonimo individuo in stato di terapia. È evidente che tale approccio filosofico consentirà alla persona malata, ed anche a chi gli è vicino nelle cure o nel prendersene cura, di superare le barriere oggettive del suo stato, ridando nuovo senso al divenire della propria esistenza, specie nel caso dell'inguaribilità. Proprio attraverso lo straniamento, cioè il distacco dall'autopercezione immutabile e cronicizzata della propria malattia: dandogli la possibilità di raccontarsi, di ripresentarsi, di farsi ascoltare e percepire, come se fosse la prima volta per se e per chi gli è vicino.

Processi creativi in terapia

25 febbraio 2021 - di Barbara Corrias 

<<Prese un poco di argilla rossa Fece la carne,
fece le ossa,
Ci sputò sopra, ci fu un gran tuono
E fu in quel modo che nacque l'uomo.>>
F.Guccini 

Società dei Sogni si pone tra i suoi obiettivi e principi quello di trasmettere un messaggio di cura,di comunicazione, informazione e avvicinamento alla fragilità, attraverso la scienza medica, la filosofia e l'arte e oggi vorrei soffermarmi su un particolare aspetto che contribuisce a plasmare queste forme di comunicazione facendole arrivare alla Persona: il processo creativo, visto con la lente della mia professione di psicoterapeuta.
Il processo creativo nella relazione analitica inizia prima del primo contatto telefonico in cui si decide di voler lavorare su se stessi, spesso è un sintomo fisico e psichico che ci conduce a questa consapevolezza.
Nel primo incontro terapeutico avviene la creazione del setting che in alcune situazioni di cura rappresenta proprio uno degli elementi che ti portano a manipolare materiali differenti: pensiamo alla relazione terapeutica che si crea al domicilio del paziente, in un reparto ospedaliero, emergeranno caratteristiche più flessibili rispetto al classico setting analitico in cui la posizione della poltrona e del tavolino fungono da punti di riferimento come lo spazio nella tela che ho a disposizione per pitturare.
Il paziente e il terapeuta nel loro incontrarsi iniziano a mettere in campo e in gioco la loro psiche; ciò che rimando ai miei pazienti durante questo incontro è il fatto che la creazione che sta avvenendo non ha forma, è paragonabile ad avere tra le mani un pezzo di argilla, manipolarlo finchè non si arriva alla propria forma, non si sa che cosa si verrà a creare e tra me e lui non c'è nient'altro che RELAZIONE come unico strumento.
Si tratta di un processo di cambiamento della consapevolezza e dell'aderenza a se stesso, in cui l'arte della creatività e la psicoterapia sono interconnesse su un livello tattile davanti alle emozioni, agli eventi, ai vissuti, manipolazione, trasformazione, vuoto, metamorfosi e cambiamento.
La creatività non è data dalla nascita dell'oggetto nuovo, non si può arrivare direttamente all'oggetto, non sarebbe naturale come processo di cambiamento, il lavoro terapeutico non dice che cosa fare, ma permette alla Persona di far nascere dentro di sé il proprio fare.
L'atto creativo ha necessità di un tempo non legato alle lancette dell'orologio, ma di un tempo compiuto, il kairos, "un tempo nel mezzo", un tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade dentro un contenitore inizialmente caotico.
"Proprio per la lentezza della gestazione Leonardo da Vinci riteneva opportuno mettere in fermentazione più progetti e lavorare a ciascuno solo al "momento giusto", lasciandoli appena il flusso creativo si affievoliva. Il "momento giusto" corrisponde alla fase espulsiva del parto; nessuno può stabilire a priori quando avverrà.
Ciò significa che il fermento creativo non può essere interrotto prematuramente dalla compulsione ad agire; Dieter Baumann -noto analista junghiano che è anche nipote di Jung- rifiuta persino di parlare di un'idea, di un'intuizione fino a quando non è il "momento giusto". E Jung scrisse le sue voluminose opere tutte a mano, con calligrafia volutamente lenta e curata per non bruciare la vena creativa col fuoco della frenesia. Per contro, rispettare la legge del tempo significa anche che un'idea non può essere trattenuta più del necessario: dopo un certo tempo avvizzisce e perde di significanza. L'esperienza creativa ci confronta, in altre parole, con la categoria del ritmo." (C.Widmann)
La relazione terapeutica contiene il caos, la Persona esprime i propri vissuti, le sue emozioni, compie salti temporali nel suo narrarsi da temi che riguardano il futuro ripercorre fasi della sua infanzia e spesso si blocca proprio perchè cerca di mettere ordine, non mantiene l'ordine cronologico degli eventi, non ha più il controllo razionale, ma la matita viene guidata dalla pancia, i contenuti che emergono nello stato creativo sono inconsci, sconosciuti a sè e iniziano a prendere una forma quando la Persona si concede di portarli in superficie attraverso la parola, il colore, uno scritto...renderli coscienti.
Questa fase del processo rimanda simbolicamente al buio, alla fase di incubazione, "Il pulcino, covato nel buio dell'uovo per 21 giorni prima di uscire alla luce, viene citato in maniera ricorrente nelle metafore della creatività" Claudio Widmann.
Claudio Widmann nel suo articolo "Esperienza creativa", invita a leggere il buio come simbolo di introversione e a notare come l'atto creativo abbia bisogno di un momento di introversione: silenzio, raccoglimento, isolamento, solitudine, abbassamento degli stimoli sensoriali,ecc. momento in cui ci orienta verso se stessi.
Continua Widmann, "non a caso l'immagine orientale che esprime simbolicamente la creatività è l'acqua; analogamente anche nel mito di creazione cristiano lo spiritus creator aleggia inizialmente sulle acque. Possiamo preliminarmente intendere l'acqua come elemento fluido, plastico, vitale ma dotato di una certa passività, cioè come immagine della recettività introversiva. Questo stato mentale in Cina viene chiamato  wu wei e potremmo tradurlo con "lasciar accadere"; è un atteggiamento di delicata, libera accettazione nei confronti dei nostri contenuti interni."
Vorrei chiudere questa riflessione che ha toccato una minima parte del complesso tema della creatività, con un messaggio che fa parte della mia formazione di Psicoterapeuta e trasmetto alle Persone con le quali lavoro, l'importanza di lasciar accadere, vivere la sensazione liberatoria dello sviluppo creativo affinchè possa godere dell'opera che appartiene a se stesso.

L'eterno dialogo fra pensiero e azione

25 febbraio 2021 - di Domenico Renna


Nell'era delle tecnologie l'osservazione dell'uomo è portato a non riconoscere le motivazioni di comprensione reciproca delle relazioni, come può accadere tra medico e paziente, dove si tende a "stare" all'oggettività dei dati e dei numeri della strumentazione tecnica. Il vuoto comunicativo che ne deriverebbe sarebbe destinato, inevitabilmente, al pensiero inespresso da più parti. Fortunatamente non c'è pensiero che non tenda a smarcarsi in azione, con recupero di esigenza comunicativa insopprimibile, nella natura umana. Nell'era della tecnica ( che è arte, arte-tecnica erano indivisibili nell'antica Grecia) la medicina ha progressivamente trascurato l'aspetto soggettivo della malattia, per attenersi esclusivamente alla sua rappresentazione oggettiva. Filosofia e medicina sono in dialogo continuo da quando c'è coscienza nell'uomo, come "pensiero" e "stato" dell'individuo, sollevando ancora oggi questioni di straordinaria importanza. Una delle principali riguarda i concetti di salute e malattia, di come definirli, descriverli o tradurre in termini normativi: si pensi alla condizione di disabilità fisica o psichica, al concetto di normalità ed il suo diverso. 
Si parte dal categorico imprescindibile "non so", se si vuole approdare a nuove prospettive di analisi e soluzioni, anche sul piano operativo dell' intersoggettività persona ammalata-altri da sé.
"Dal punto di vista etimologico, alla radice dei termini "medico" e "medicina" ritroviamo un'attitudine che non coincide immediatamente con un'azione, con un intervento su qualcuno, ma che piuttosto allude a una disposizione interiore, caratterizzata da uno stato d'animo di interesse per l'altro. Medico è dunque colui che istituisce una relazione, connotata dalla sollecitudine per la condizione altrui. La medicina è perciò un'attività relazionale, nella quale sono coinvolti almeno due soggetti. Questo "stato d'animo", nella moderna caratterizzazione della medicina, si è un po' perduto a vantaggio di una fenomenologia della cura.
Ancor oggi manca la consapevolezza piena della differenza radicale sussistente fra il "prendersi cura" e il "curare": nel primo caso, ciò che conta è l'attitudine a farsi carico dei problemi di colui che soffre; nel secondo caso, tutto può risolversi con la somministrazione di qualche medicina.
Perché gli aspetti "tecnici" dell'arte medica sono in realtà meno importanti di un'attitudine generale, nella quale il senso critico e la consapevolezza del limite sono fondamentali.
Certo la medicina rinuncia, fin dalla sua fondazione, alla certezza assoluta , che è poi la cosa che desidera più di tutte il malato quando deve fare i conti con la propria malattia. Ma il rischio maggiore delle attuali scienze biomediche è proprio la mancanza di senso del limite, l'idea di un progresso ininterrotto e inarrestabile. La consapevolezza di limiti invalicabili è la forza del ragionamento": e della persona, che aiuta o che vuole aiutare a superare ogni difficoltà, anche la malattia.


L'ipertrofia della vita contemporanea

25 marzo 2021 - di Domenico Renna

Di quante realtà e mondi paralleli vogliamo vivere? Non bastassero gli innumerevoli mondi dell'immaginario ideativo, di cui l'essere umano è unico detentore terreno, che già ci lasciano sospesi fra dimensioni oniriche e visionarietà, ci si è ingegnati nel ridare senso a tutto ciò che ci circonda con la virtualità del web (tela), perché la realtà fisica sommata a quella immagignifica evidentemente non bastava più a nutrirsi di vita. E così la tela del web, con il suo ordito tramato di etere, ha mandato in oblio le donne mitologiche, frutto di immaginazione secolare, che tessevano da sempre i destini degli umani: fatta salva la necessità di averle sempre a disposizione in servizio, in caso di emergenza, per i bambini che difficilmente s'addormentano. Ma la vera svolta di questo ipernutrimento ipertrofico accade con l'avvento della cosiddetta 'realtà aumentata': si tratta di dotare l'individuo di dispositivi, guanti e occhiali ipertecnologici, affinché affacciandosi ad uno schermo visuale, possano provare sensazioni che vanno oltre ciò che i nostri insufficienti cinque sensi possono cogliere. Occorrono esempi: 
-toccare virtualmente una scultura del British Museum, per poter cogliere percezioni di curve o di rugosità inaccessibili al tatto o alla vista, come natura ci offre;
-sentire il rumore dei petali delle belledinotte, fiori che si schiudono e richiudono velocemente alla vista e non all'udito naturale dell'individuo;
-osservare con angoli visuali non consentiti agli occhi di un individuo: osservare cioè chi mi sta perfettamente accanto, anche un po' più indietro-ma poco però, non esageriamo!- o sopra la testa.
Insomma l'ipernutrimento dei dati sensoriali, che sembra non bastare: perché si sta già pensando a come fare percepire anche le emozioni delle persone che si osservano, magari guardando un film.
E perché non sentire l'anima del nostro simile? Con tutti i dovuti riguardi per i medium, parola che ha la stessa etimologia dei media: mezzo, tramite.
Ecco, ci siamo! L'ipertrofia della vita procederà inarrestabile per tutto il tempo in cui sentiremo la necessità di un tramite (o un'autobarriera?) fra noi e la realtà: materiale, emotiva, percettiva. Perché l'ipertrofia della vita nasconde, ciò che può implicare: una sempre più grande fragilità dell'uomo nell'accettarsi così com'è.
Non c'è dubbio che l'evoluzione tecnologica ha comportato anche vantaggi per l'uomo. Ad ogni buo fine, noi della Società dei Sogni siamo qui, per vigilare sulla capacità delle persone di continuare a sognare come madre natura ci ha donato.

L'assenza che rivela

25 aprile 2021 - Domenico Renna


Vi sono diversi modi di aderire al cristianesimo, anche inconsapevolmente. Sembrerebbe vano tentarne una sintesi finale di convergenza verso un'unica prospettiva, ma è probabile che ciò avvenga molto più facilmente di quel che si immagini. 
Proviamoci, almeno secondo due indiscusse modalità direttrici portanti della fenomenologia cristiana.
Si può credere infatti al mistero della fede in Cristo attraverso un percorso più o meno travagliato di misticismo, non meno disperato di quello patito da Gesù di Nazareth sulla croce, laddove crede egli stesso di essere stato abbandonato da Dio. Chi crede senza travaglio interiore, travaglio da intendersi proprio in senso etimologico come elaborazione e ricerca interiore, facilmente ricade in fede cieca o fanatismo, ma non ce ne occupiamo, qui.
Si può credere, dualmente, all'ispirazione di quanti storicamente, movendo dalle sacre scritture hanno dato voce ed espressione, elaborazione e ricerca, di grande plasticità rappresentativa al cristianesimo, come il più imponente movimento artistico-letterario della storia dell'umanità.
Elaborazione e ricerca, sembrerebbero pertanto essere il comune denominatore delle duali suddette esperienze umane di ogni tempo, del significato di cristianesimo, della sua percezione.
Ma elaborazione e ricerca interiore sono anche gli unici strumenti di cui gli individui dispongono per sondare, impossessarsi e vivere le proprie emozioni, con padronanza di sé, per sottrarle ad impalpabilità ed astrazione intellettuale, se non vuol corrersi il rischio, peraltro, che il Dio cristiano per primo, venga additato dai non credenti come pura astrazione metafisica.
È pertanto verosimile che un credente rinunci alla comprensione logico-razionale dell'apparizione in terra di Cristo, così come un credente nella spirito della cultura artistica e letteraria.
Avete mai fatto caso che l'amore porta in sé tutto questo? Se non ci aveste fatto caso, questo sarebbe un articolo per ricordarlo.
Non è finita qui: mettetevi comodi.
L'amore, fra tutte le emozioni, è quella che più richiede elaborazione e ricerca, sul senso della vita interiore e della sua fine, che mai si vorrebbe.
Non se ne vorrebbe soffrire di mancanza o assenza, di amore, quando ti coglie d'improvviso, come l'apparizione mistica di un Dio all'orizzonte della propria vita. E paradossalmente è la stessa assenza o mancanza del corpo di Gesù, al sabato santo, nella sua tomba, che rivelerà lui stesso nell'immateriale mondo ultraterreno.
Nello stesso tempo, se non si prova mancanza e assenza d'amore, non sussiste la comprova a noi stessi dell'amore, che resterebbe volatile evanescenza, inafferrabile.
Il cristianesimo fa dell'amore il suo dogma, l'amore per il prossimo mi sembra di ricordare.
Il non credente nella fede cristiana, ma credente nel valore spirituale delle sue espressioni culturali, elabora e ricerca quello stesso amore, che ha ispirato produzione artistica secolare. 
Entrambi s'inseguono nel tempo della storia.
Ma, attenzione: né il credente mistico può fare a meno di una realizzazione materiale e artistica, dipinti, sculture, chiese, luoghi di culto, né il cultore della cristianità può farne a meno.
L'uno cerca l'altro, ama l'altro come se stesso, ritrovandosi spesso in una chiesetta di campagna.
Chi ha bisogno di chi?
Chi cerca chi?
Comunque la si voglia prendere, la questione del cristianesimo resta lì, immobile e imponente da secoli, a rappresentare la più maestosa metafora dell'esperienza terrena dell'uomo: cercarsi per amare.